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2007

 

L’EROISMO? E’ SAPER REAGIRE NEI MOMENTI PIU’ DRAMMATICI

La guerra, la paura, il sacrificio spiegati da Gianfranco Paglia, medaglia d’oro al valor militare Parlare di “eroi” resta un tabù nell’Italia di oggi. Eppure esistono tanti piccoli – grandi atti eroici quotidiani, e non solo al fronte.

- Chi sono gli eroi di oggi, capitano?

Tutti quelli che fanno qualcosa per gli altri sacrificando se stessi, possono essere considerati tra virgolette eroi, non mi riferisco solo a chi indossa una divisa.

- Come è nata la tua passione per la vita militare?

Sono cresciuto con i valori di Lealtà, Onore e Patria. Devo a mio nonno, anche lui militare per tutta la vita, l’insegnamento di questi principi. Mi ha insegnato anche che l’uniforme rappresenta dei grandi valori, è anche sacrificio.

- Quanto è importante, secondo te, il contributo militare per il mantenimento della pace?

È fondamentale. Al di là di quello che possono pensare alcune persone, chi indossa la divisa non ama fare la guerra. Purtroppo accade ancora oggi nel mondo che per portare la pace occorre l’utilizzo della forza, ma questo non dipende da noi.

- Qual è stata la tua ultima missione all’estero?

Sono stato in Iraq, a Nassiriya nel 2005. Lì c’era tanta gente che aveva bisogno di noi, ho capito che la nostra presenza era necessaria. Mi sono occupato di aiuti umanitari, interagivo con le cooperazioni e le ong. In Iraq sono stati i militari a costruire scuole e ospedali. Ci siamo occupati anche di corredare le strutture con attrezzature adeguate, come le incubatrici e altre cose per le strutture sanitarie. Questo dal punto di vista umanitario, poi dal punto di vista operativo i militari si sono anche occupati di dare una preparazione adeguata ad alcune persone che sarebbero dovute diventare poliziotti o componenti del nuovo esercito iracheno.

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- Che effetto ti ha fatto leggere "10, 100, 1000 Nassiriya"?

È stato nauseante. Non so come possa esistere gente che la pensa in questo modo, per fortuna sono molto pochi o almeno mi piace pensare che lo siano.

- Che cosa diresti ai giovani, e ne abbiamo visti tanti in passato, che invocano la pace, ma scendono in piazza con cappuccio e manganello?

Che non hanno le idee molto chiare, nel senso che è giusto manifestare per il mantenimento della pace, ma forse con mezzi più appropriati. Se ci tengono alla pace come dicono, potrebbero andare nei Paesi dove c’è un conflitto e farlo cessare pacificamente. Vediamo se ci riescono.

- Che cosa hai provato, quando sei stato insignito della medaglia d’oro al valor militare?

Un grande onore, certamente. Ma il primo pensiero è andato a chi non c’è più, a chi non è sopravvissuto a quel giorno.


- Che cosa consiglieresti a un giovane che vuole intraprendere la carriera militare?

Indubbiamente è una vita che comporta sacrifici, per se stessi e per la propria famiglia. Però ci sono anche tantissime soddisfazioni, bisogne essere convinti e determinati.

- Che cos’è per te la paura?

Non so sinceramente descriverti cosa sia. Penso che la cosa più importante non sia la paura in se, ma come ci si comporta, quando si ha paura.

- E a Mogadiscio ne hai avuta?

Noi siamo partiti per una missione umanitaria, anche se sapevamo che potevano esserci dei rischi, la cosa più importante è che quando ci siamo trovati in situazioni difficili, una in particolare per quanto mi riguarda, abbiamo saputo reagire.

- Pensi che gli italiani dimentichino troppo in fretta?

Nelle situazioni importanti, quando conta essere uniti, siamo un popolo che sa anche compattarsi e l’abbiamo dimostrato.


- Lo Stato e le istituzioni in generale sostengono nella maniera giusta chi, come te, paga un prezzo altissimo per aver compiuto scelte importanti?

Nel mio caso certamente si, non mi hanno mai abbandonato e credo che questo valga anche per altri nella mia stessa situazione. Certo è molto più difficile stare accanto a chi ha invece perso un familiare perché non è possibile restituirgli il figlio, il fratello o il padre che ha dato la vita per un ideale.

- Quali sono stati i momenti più soddisfacenti nella tua carriera?

Sono stati tantissimi. Per quanto riguarda le missioni all’estero, quando si riusciva a riaccendere il sorriso di quei bambini, ti senti pieno dentro. Ed è successo spesso, sia in Kosovo che in Iraq che abbiamo portato dei bimbi in Italia con problemi di salute, per curarli. Mi ricordo spesso di un ragazzino in Iraq che abbiamo trasportato d’urgenza a Cesena perché aveva ustioni sull’ottanta per cento del corpo. Poi è ritornato e camminava con le proprie gambe, beh questi sono i momenti sicuramente più belli.

- Che cosa insegnerai a tua figlia?

Non sono un padre severo. Mi auguro di riuscire ad insegnarle soprattutto il valore della famiglia e l’importanza di fare qualcosa per gli altri.

- Quali sono i tuoi prossimi obbiettivi?

Dopo il Kosovo e l’Iraq, a maggio partirò per la missione in Libano.

Cristina Clarizia per "Secolo D’Italia", martedì 20 marzo