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Il Secolo d'Italia del 17 Marzo
Di amministratore (del 17/03/2011 @ 15:59:23, in Articoli, linkato 1274 volte)
"FACCIAMOLA DIVENTARE FESTA FISSA DEL CALENDARIO"
GIANFRANCO PAGLIA: L’ITALIA NE HA BISOGNO PER RICORDARE LE RADICI DI UN’APPARTENENZA

di Valter Delle Donne

ROMA. «Vedo una grande partecipazione tra la gente. Si potrebbe fare in modo che la ricorrenza diventi un appuntamento fisso, una data come il 2 giugno. Sarebbe un modo di rinnovare il senso e le ragioni di essere italiani». Gianfranco Paglia, medaglia d’oro al valore militare e deputato di Futuro e libertà, bada all’essenziale. Con la sua biografia potrebbe permettersi il lusso della retorica. Tra i pochissimi italiani viventi a vantare una fiction tv sulla sua biografia, oggi l’eroe di Mogadiscio potrebbe prendersela con i leghisti che non partecipano alle celebrazioni, che hanno scelto di andare al bar pur di non ascoltare l’inno di Mameli. Potrebbe permettersi anche di bacchettarli, di gridare «vergogna ». Non è il suo stile.

■ Maggiore Paglia, non la indigna sapere che quelli del Carroccio fanno di tutto per evitare le celebrazioni?
Vuole sapere come la penso? Io in privato con i deputati della Lega ci parlo. Quando non ci sono in giro telecamere o giornalisti nessuno parla di secessione, anzi.

■ Questo è uno scoop. Anche i parlamentari leghisti sono patriottici?
Ci sono colleghi della Lega che hanno indossato l’uniforme, non posso immaginare che non si sentano fieri di essere italiani esattamente come noi.

■ Intanto gli uomini di Bossi non festeggiano e fanno di tutto per evitare le celebrazioni. Non è mortificante per il nostro Paese?
Una polemica che ingigantiscono in maniera autolesionistica. Lo fa qualche dirigente leghista per avere il titolo sui giornali. Sono stato nove mesi in Veneto per le mie terapie e le posso garantire che non c’era nessuno che manifestava sentimenti anti-italiani. Se Bossi e Calderoli fanno quelle sparate, peggio per loro, secondo me anziché guadagnare voti li perdono.

■ Se pensa a queste celebrazioni chi le viene in mente?
Ai ragazzi della spedizione dei mille, per la maggior parte giovani proprio del Nord. Agli ultimi, dal contadino sconosciuto che avrà contribuito all’unità d’Italia offrendo da mangiare ai garibaldini agli eroi civili dei nostri centocinquant’anni di storia.

■ Eroi come Giovanni Falcone, Paolo Borsellino o Giorgio Ambrosoli?
Esattamente. Persone che hanno sacrificato la vita per un ideale. Dal più noto all’ italiano destinato a restare anonimo.

■ Il centro di Roma è imbandierato a festa. Una cosa del genere prima succedeva solo per le partite della Nazionale.
È vero, ha ragione. Ma è un fatto di mentalità. In questo abbiamo tanto da imparare gli americani. Se va in America, ogni tanto vede una bandiera a stelle e strisce esposta. Segno che quella è la casa di un reduce di guerra.

■ Un segno di appartenenza...
C’è bisogno anche di quello. Fuori dalla finestra mio padre il tricolore lo tiene esposto da anni.

■ Mentre i leghisti disertano le celebrazioni, nel mondo dello spettacolo e della cultura c’è un fermento di attività senza precedenti. Le sono piaciuti i discorsi di Benigni e Saviano?
Ho apprezzato entrambi: Benigni con la sua estrosità mi ha coinvolto emotivamente, Saviano con la forza della sua parola. Ma mi permetta di citare l’intervento del presidente Giorgio Napolitano, in questo momento rappresenta un punto di riferimento fondamentale per tutti noi.

■ E il riferimento rappresentato dal premier?
Vive un momento difficile. A 75 anni si trova coinvolto in situazioni che, se accertate, danno il senso di una persona che ha bisogno d’aiuto. Quello che leggo sui giornali mi ispira un sentimento di tenerezza.

■ Provava tenerezza anche quando le è arrivata l’accusa di essere un traditore perché aveva scelto di rimanere con Gianfranco Fini?
La campagna di “Libero” mi ha ferito, ma ho avuto modo di replicare e considero la questione chiusa lì.

■ Con Silvio Berlusconi ha avuto modo di parlare?
La prima e ultima volta prima del voto di fiducia del 14 dicembre. Gli ho detto quello che non condividevo, con molta franchezza. Su alcuni aspetti mi ha dato ragione, su altri non ha capito. Ciò che è accaduto dopo, lo sanno tutti.

■ Tante volte c’è la metafora negativa, si dice: questo partito non è una caserma. Come a dire che c’è democrazia interna. Lei che conosce entrambe le realtà condivide questa immagine?
In caserma quando fai una fesseria c’è sempre un commilitone che ti dà un rimprovero o un consiglio. Berlusconi in questi ultimi tempi l’avrà avuto qualcuno che gli ha detto: «Silvio, che stai facendo?». Ogni tanto me lo domando.

■ Un ultimo pensiero, per gli italiani che celebrano questa ricorrenza nelle missioni militari all’estero.
Per me non è l’ultimo, è il primo pensiero. Starò con il cellulare acceso h24. Ho tanti amici nella Folgore che in queste ore sono in Afghanistan. Lì la situazione è molto calda e c’è poco da festeggiare, ma è il loro lavoro e ne sono coscienti.