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Hanno Scritto di Lui


Ad un eroe

Tu che hai
visto la guerra
affondi il tuo sguardo
nel verde di
questa terra
e semini ogni
desiderio come un traguardo.
Raccogli
piano i tuoi pensieri
e ti rivedi
ancora lontano
tra il caldo
afoso di ieri
l’immagine
di un bimbo
che tende la mano. Così
ti scopri a sorridere di lui
che
avrà presto la sua libertà
di come un
giorno ti ricorderà
e il suo
futuro è la medaglia
che tu eroe
accetterai
con più voglia!
Sorridi…

Dal libro “A.A.A. un cuore soffre “ di Salvatore Bonavita novembre 1993


Manifestazione per la pace
(Mugnano, li 16 Dicembre 1995)

Sono felice ed Orgoglioso di partecipare a questa manifestazione per la pace. Ringrazio quindi l'organizzatore Sabatino MENNA e le Autorità Locali per averla resa possibile. Questa parola PACE, tanto desiderata da quei popoli in lotta, è l'unica speranza che il mondo si auspica. - PACE vuol dire serenità, benessere; GUERRA, invece, vuol dire distruzione, atrocità, fame, morte! e, per coloro che sopravvivono, il segno che non si cancella più dalla loro mente e dai loro corpi. - Avevo poco più di 20 anni, imbarcato sulla Fregata Libeccio della M.M. in qualità di Sottufficiale quando partecipai alla missione in Golfo Persico. Più volte, anche in quella circostanza, ho sperato che la pace prevalesse sulla guerra; domandandomi una, cento, mille volte perché l'uomo continuasse ad essere così ostile nei riguardi del prossimo.
Perché problemi che potrebbero essere discussi a tavolino, sfociano nell'odio, nel sangue. - Fortunatamente per me, dopo sei mesi di pericoli vari, feci ritorno in Patria, a La Spezia, sano e salvo, dove erano ad attendermi tutti i miei familiari, ed il mio più caro amico d'infanzia, Gian franco PAGLIA, amico certo, sincero, leale, pronto ad intervenire in ogni occasione di pericolo.... E questa sua generosità, questo slancio, lo hanno accompagnato anche quando da Sottotenente della Folgore fu inviato con le forze multinazionali per la pace in Somalia. A Mogadiscio, in un agguato dei ribelli, non esitò ad offrire se stesso per aiutare i suoi soldati in pericolo dove venne ferito gravemente al braccio, al polmone, ed alla colonna vertebrale.
La sua tempra forte, la sua voglia di vivere e la volontà di Dio, ci hanno ridato Gian franco PAGLIA, si... su una sedia a rotelle, ma con una Medaglia d'Oro al Va/or Militare ed un esempio meraviglioso, quello di aver superato 11 suo grave handicap e di incoraggiare tutti noi per la pace. - Colgo l'occasione per salutare anche la Medaglia di Bronzo al Valor Militare Francesco FILOGAMO, un altro giovane su cui è gravato il difficile compito di restituire la pace ad un popolo che oramai aveva perso 11 rispetto anche per la vita dei propri simili. - Ma... soprattutto siamo qui per ricordare gli undici militari, i tre giornalisti e la crocerossina che non hanno fatto più ritorno, per portare la pace là dove non c'era che fame, odio e malattie.
- Auguro infine, a tutti i militari che sono sempre pronti ad intervenire per portare il loro aiuto in caso di calamità naturali, terremoti, allagamenti, valanghe, ed ora pronti a far rispettare la pace nell'ex Jugoslavia, di essere veri missionari di pace e di far ritorno alle loro case.

Grazie!

Dario SPARANO

 

Napoli, 5 Aprile 1996

Da grande

Io, Vito Paglia,
da grande
voglio diventare
un Soldato
perfetto,
e voglio
difendere
la giustizia
di questo
mondo crudele.
Che importa
se muoio, l’importante è aver difeso
i giusti,
i buoni
d il nostro
mondo.

Il “piccolo” Vito (cugino di 9 anni)

-

Marcello Veneziano

Ci sono due parole bellissime che in questi giorni sono diventate insopportabili: patria e solidarietà. Evocano grandi slanci, nobili storie di dedizione, ma in questa Repubblica scalfarana sono diventate il paravento di due turpi realtà: la solidarietà copre l’inefficienza e il parassitismo e la patria copre la difesa della partitocrazia e dei suoi assetti. E allora io vorrei parlarvi di un esempio quasi miracoloso di amor patrio e solidarietà praticata e non predicati, e sulla pelle propria, non degli altri. Dunque, vi ricordate le medaglie d’oro al valor militare?Ma dai, è roba antica non stiamo in guerra da più di mezzo secolo, per fortuna; saranno tutti morti o quasi. Trombonate.
E invece no, c’è un ragazzo di venticinque anni, italiano, d’Italia, che è medaglia d’oro al valor militare. E, nel silenzio generale dei giornali, è andato in carrozzella a ritirare il premio Muccioli a Napoli. Ma come è possibile, una medaglia d’oro così giovane, che guerra ha fatto, nei war games e in curva sud, direte voi. No, Gianfranco Paglia, nato a Sesto San Giovanni, comandante del plotone paracadutisti della Folgore, è rimasto paralizzato alle gambe, costretto alla sedia a rotelle perché nel ’93, a Mogadiscio, andò a salvare i suoi uomini sotto un bombardamento delle milizie somale. E ci riuscì, a trarli in salvo, anche se fu colpito ad un polmone, alla schiena e alla colonna vertebrale.
Voglio dire la parola anacronistica e impronunciata? Ma si, Paglia è un eroe. Anche se per la stampa è un milite ignoto. Anche perché l’azione compiuta da lui avveniva di sua iniziativa; e poi perché lui non ha scelto la vita militare come un mestiere del tipo <<girerei il mondo>> e <<avrei uno stipendio fisso>>. No perché ci crede, perché gli piace e vuol continuare la vita militare, partire per le zone calde. E allora perché non chiamare le persone con il loro vero nome: i ladri sono ladri, gli assassini sono assassini, ma anche gli eroi sono eroi. Non dobbiamo aver paura delle parole grosse se corrispondono alla realtà. Capisco il rigetto, dopo tante cartoline illustrate finto - risorgimentali, per questi termini. Ecco, in mezzo a questa retorica ti spunta un giovanotto vero in carrozzella che ti dimostra come patria si possa declinare con solidarietà e non con aggressività ed egoismo. E che solidarietà può essere sinonimo non di assistenzialismo e di umanitarismo astratto e ideologico, ma di concreto aiuto agli altri. Non con i soldi degli altri, ma con la vita propria.
Il premio della solidarietà che nasce a Napoli dall’associazione culturale Polo Sud è dedicato a un altro omone tosto e malfamato, Vincenzo Muccioli. Per questo io sono andato ieri sera a Napoli a Castel dell’Ovo, a stringere la mano ad un eroe, cioè un marziano, dei nostri giorni. Anche se la sua navicella spaziale, e il suo carrarmato, è una sedia a rotelle. Ma il nostro paese cammina più col sottotenente Paglia che con altri più veloci mezzi di trasporto (ferrovie comprese).

Tratto da “il giornale“ 19 settembre 1996


 

Gianfranco Paglia: un esempio

“ Non sono d’accordo con Bertold Brecht. Il popolo beato è quello che ha bisogno di eroi”. Gianfranco Paglia sorride, in tanti lo considerano un esempio, un punto di riferimento. Lo abbiamo incontrato e ci ha impressionato la vivacità e l’allegria tipica dei campani, la serenità invidiabile, la modestia che suscita anche nei suoi superiori, un profondo rispetto. Paglia minimizza: “Io eroe? No, gli eroi sono altri, ho fatto solo il mio dovere”. Costretto sulla sedia a rotelle dalla grave ferita alla colonna vertebrale, è già tornato in “zona d’operazione” per salutare i suoi colleghi impegnati in Bosnia, non ha perso né il buon umore né la combattività. E questa volta combatte anche per riconquistare la posizione eretta sottoponendosi a faticosissimi esercizi fisici, allora Gianfranco 27 anni è una medaglia d’Oro al Valor Militare. Ti senti un eroe? “Ma mi ci vedi nei panni dell’eroe? –Ride di gusto e si schernisce. –No, non scherziamo, non ho fatto nulla di particolare, solo il mio dovere.
Gli eroi sono altri, ho conosciuto tante persone decorate, soprattutto appartenenti alle forze dell’ordine che combattono quotidianamente la criminalità organizzata. Loro sì che cono eroi”. D’accordo ma anche tu hai messo a repentaglio la tua incolumità… “E’ vero, ma sai, ho scelto io di indossare una divisa, di indossarla in un certo modo. Sapevo che poteva accadere quello che ho vissuto. Ovviamente non te lo auguri, ma se sei motivato, sei pronto ad affrontare qualsiasi situazione. Certi comportamenti diventano istintivi, non ci pensi due volte a compiere un’azione, rischiando in prima persona, se puoi aiutare chi sta operando con te. Basta credere in ciò che fai, insomma”.
Ma secondo te oggi esiste la necessità per la gente di avere esempi da seguire? “Ci sono persone che spinte da un ideale, da un qualcosa di indefinibile, portano avanti le loro azioni senza badare alle conseguenze, rischiando di rimetterci tutto. Sicuramente quelle sono persone che vanno ammirate, sono degli esempi da seguire. Credo che la società abbia bisogno di persone che dimostrano che si può fare, si può dare molto di più”. Sei andato in Somalia…

“ Si, è stato un bel momento. Una grande esperienza che mi ha lasciato tanto. Intanto sotto il profilo professionale. Hai modo di mettere in pratica quello per il quale ti addestri quotidianamente. Senza considerare l’aspetto umanitario della missione. Noi siamo andati in Somalia per aiutare un popolo sconvolto dalla guerra civile e dalla fame. E in molti casi il nostro intervento è stato provvidenziale”. Che cosa spinge oggi un giovane a sceglier di partire per una missione militare all’estero? “La voglia di fare quello in cui credi. Forse non tutti la pensano così, ma sono in tanti quelli che sono disposti a rischiare la vita per un’idea, una bandiera, per dei valori”.

Tratto dalla rivista “Folgore“ settembre 1997


Lo ha baciato il sole!

Giovin
Signore,
paracadutista,
Volontario,
cercator di pace,
Che
la morte in agguato spesso ha vista. 
Or
che la mitraglia, per lui, tace,
E’
rimasto, dell’inimico il segno,
A
colpirlo laddove avea disegno.
Tre
piombi, corpo suo hanno ferito:
Una,
a riceverlo, fu il polmone;
Il
secondo non l’ha forse sentito,
Segnar
di rosso il polso, nell’azione.
Ma
fu il terzo – e qui nasce la pena –
A
offendere crudelmente la sua schiena.
I
commilitoni lo circondano d’amore,
Ma
la sua testa, superba, dritta, sta;
Non
è andato distrutto quel bel fiore
È
molto forte, molto, quel parà.
Egli,
la sua ferita ben comprende,
Il
suo destino, serenamente, attende.
Pur
consci di qual sia il lor divenire
A
Giovanna va sposo, una bellina
Del
suo paese, doviziosa di sentire.
Per nulla tiene ad essere eroina,
Soltanto,
interrogando il cuore, 
E’
felice di offrirgli tanto amore.
Tre
mesi, li va a passare a Sarajevo,  
In
divisa, con la sua “Garibaldi”
Pare
una scena quasi da Medio Evo
Il
veder tanti soldati saldi,
Che
come in una favola o novella
Spingono
a gara na santa carrozzella.
Bello,
bellissimo, ma non basta;
L’eroe,
che salvò 4 commilitoni,
Nell’inferno
di fuoco detto “Pasta”
Riservando
per se 3 pallettoni,
Gioca,
da soldato, la sua partita. 
Di
valor di disegno, par follia
Ma
per è una “visita” gradita,
Del
cielo, ancor percorre la via.
Ecco
si prendon, rapidi, i contatti,
Celere
il fluire, di pensieri e fatti.
Vede,
sente il caro gesto antico,
Ecco
che s’apre il fido bianco amico.
È
la terra! Accostasi la gente
Ammirando
quel miracolo d’ardire.
“Vi
prego – dice – non fu niente;
Mi
piacerebbe sentir dire
Che
ancora ho accesso, io, ‘na face
Per
il fuoco sacro della pace”
Queste,
le sue semplici parole;
Calando,
lo saluta, fratello sole.

Cesare Simula dicembre 1999


Quasi Trenta
(di Silla Giusti e Matteo Labati)

Difficilmente ti ricorderai di me. Mi chiamo Silla Giusti, all’epoca della missione IBIS II anch’io, come te, ero comandante di plotone paracadutisti presso il l’ex Ambasciata Italiana, a Mogadiscio. Provenivo dal 148° corso AUC e cioè, credo, quello esattamente antecedente al tuo: Filedei e Lo Cicero, i miei ‘allievi’ del 185° Reggimento, mi parlavano spesso dite. Poche settimane dopo la conclusione della mia permanenza in Somalia, mi sono congedato e sono tornato alla vita civile.
Quasi quattro anni fa, insieme ad un amico, Matteo Labati (che è poi colui che materialmente ti sta facendo arrivare questo manoscritto) abbiamo avuto un’idea. Covavo già da alcuni anni il desiderio di scrivere un libro che si ispirasse a ciò che avevo visto in Somalia: divenne una necessità all’esplodere dello ‘scandalo torture’: volevo offrire la mia testimonianza - romanzata- su ciò che avevo provato durante quell’esperienza. Matteo mi incoraggiò a farlo, intuendo la necessita di sfuggire dal rischio di un’opera reducistica: il risultato é ‘Quasi Trenta’.
Un lavoro, credo, piuttosto originale ma anche, spero, di piacevole lettura. Ti preghiamo segnalarlo a chiunque potrà provare interesse nel leggerlo: se qualcuno fosse particolarmente desideroso di avere una copia, saremmo lieti di spedirgliela. Nella speranza, un giorno, di sentirti,

Cordialmente, Silla Giusti

Dal libro...

... L'ultima branda la occupava D'Agostino, un paracadutista ufficiale, come Stefano. Non diversamente da Stefano, per suffragare la propria vita con emozioni adulte. Schianato a letto, e non più come Stefano. Sembrava legato. Era bloccato da cavi di trazione. Nelle braccia, gli aghi della flebo. Sembravano parti del corpo che non avevano saputo sistemare. Aveva due differenti drenaggi. Era cosciente, però. Gli occhi, socchiusi, erano accesi.


Scandalo Somalia: Anatomia di un falso

TEN. PAR. MEDAGLIA D’ORO V.M. GIANFRANCO PAGLIA -Missione IBIS 2 - Somalia

Ho ascoltato l’intervento di Gianfranco Paglia nell’ambito del convegno del 15 e 16 giugno 2000. Non sono andata ad interpellarlo, forse per pudore, forse per un senso di rispetto, però ritengo importante citare alcune sue parole, che rappresentano una testimonianza dalla Somalia di una persona che porta impressa, in modo indelebile, sulla sua pelle, la memoria della missione.
Il tenente Paglia appare — all’interno della sala del convegno su “Le forze armate nelle missioni di pace” tra divise in perfetto ordine, medaglie e nomi roboanti di politici e militari — sulla sedia a rotelle sulla quale è condannato a vivere, schivo e semplice, relegato a parlare in quell’ora non troppo felice, per incatenare l’attenzione degli spettatori che è il dopopranzo.
« La missione in Somalia forse non è riuscita a compiere quello che ci si era prefissati » dice, « ma a qualcosa è servita la Somalia, come esperienza professionale e umana: noi dobbiamo crederlo, se non altro per quelli che, come me, portano sul loro corpo i segni indelebili di quella missione, e, ancor più, per quelli che in Somalia hanno perso la vita, perché, per quelle che i politici chiamano missioni di pace, sono necessarie le armi». Sembra davvero indifeso il Tenente Paracadutista Gianfranco Paglia, medaglia d’oro al valore militare, sulla sua sedia a rotelle, di fronte alla platea di divise ben stirate e luccicanti, quando conclude: « C’è un solo modo di indossare la divisa.Con onore, credendoci».

Il caso Carlini, un militare in ostaggio
di Maria Lina Veca

 

CONTINUA